Il premio Nobel per la Pace Narges Mohammadi ha risposto alle domande del Corriere della Sera
Narges Mohammadi è nata a Zanjan, in Iran, nel 1972. Ha studiato legge all’Università di Teheran e ha iniziato a lavorare come avvocato per i diritti umani nel 2003. Nel 2008 è stata eletta vice presidente del Centro per la difesa dei diritti umani in Iran, un’organizzazione che si occupa di difendere i diritti umani fondamentali, in particolare quelli delle donne e dei minori.
Mohammadi ha dedicato la sua vita alla lotta per i diritti umani in Iran. Ha lavorato a numerosi casi di violazione dei diritti umani, tra cui la pena di morte, la tortura, l’arresto arbitrario e la discriminazione contro le donne. Ha anche contribuito a sensibilizzare l’opinione pubblica internazionale sulle violazioni dei diritti umani in Iran.
Nel maggio 2016, Mohammadi è stata arrestata dalle autorità iraniane con l’accusa di “propaganda contro il regime” e “cospirazione per rovesciare il governo”. È stata condannata a 16 anni di carcere, una pena che è stata successivamente ridotta a 10 anni. Mohammadi è stata detenuta nel carcere di Evin, a Teheran, dove ha subito gravi abusi e torture. È stata costretta a indossare l’hijab, un velo islamico obbligatorio per le donne in Iran, e ha subito ripetute minacce di essere condannata a morte.
Nonostante le difficoltà, Mohammadi ha continuato a lottare per i diritti umani. Ha scritto lettere e articoli da prigione, denunciando le violazioni dei diritti umani in Iran. Ha anche tenuto uno sciopero della fame per protestare contro le sue condizioni di detenzione. Il 6 ottobre 2023, Narges Mohammadi è stata insignita del Premio Nobel per la pace. Il premio le è stato assegnato “per la sua lotta contro l’oppressione delle donne in Iran e per promuovere i diritti umani e la libertà per tutti”.
La decisione del Comitato norvegese per il Nobel ha suscitato l’ammirazione e il sostegno di tutto il mondo. È stata vista come un riconoscimento per il coraggio e la determinazione di Narges Mohammadi, che ha dedicato la sua vita alla difesa dei diritti umani. Mohammadi è ancora in prigione in Iran, ma il suo premio Nobel è un simbolo di speranza per tutte le persone che lottano per i diritti umani nel mondo.
Eccezionalmente risponde alle domande del Corriere della Sera. Sulla sua prigionia dice: «Stare lontano da un figlio è il dolore più atroce che si possa immaginare. Il primo arresto è avvenuto quando Ali e Kiana avevano 3 anni e 5 mesi. Sono stata in isolamento, in un reparto di massima sicurezza. Non c’erano telefonate, né visite, non sapevo nulla di come stavano i miei bambini, ero tormentata. Ogni volta che penso a quel periodo, non posso credere di essere sopravvissuta a così tanta pena. Poi è andata anche peggio».
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Poi spiega la vita in carcere: «La violenza sulle donne e soprattutto sulle manifestanti è costante, non solo qui. Sono stata testimone dei corpi contusi, spezzati e feriti delle detenute. Gli attacchi contro le prigioniere sono uno degli strumenti di repressione che il regime ha più usato nell’ultimo anno, sebbene sia sempre stata una pratica diffusa della Repubblica islamica. Io e le mie compagne abbiamo conosciuto l’isolamento e la massima sicurezza, tante sono le storie che abbiamo ascoltato di aggressioni sessuali. Poi c’è il livello superiore: le impiccagioni».